Diciamo una cosa con franchezza: siamo tutti qui per vendere qualcosa (una competenza, un prodotto, un servizio, la nostra immagine, il nostro know how, la nostra esperienza). Tutti noi siamo su questo mondo per fare due cose: lavorare (in qualche modo, vendere) e divertirci; e se riusciamo a mettere le due cose insieme, abbiamo vinto.
Ma allora, visto che siamo tutti qui per vendere qualcosa, dobbiamo interpretare il web come un mercato?
No! assolutamente no!
La prima cosa che vi dovete mettere in testa è che il web non è un mercato e che voi non dovete esporre la mercanzia.
Il Web è un luogo di relazioni e certo, le relazioni ci servono per far conoscere il nostro marchio e il nostro prodotto, per aumentare la benevolenza e la fiducia nei nostri confronti – e tutto questo ci serve per vendere –, ma il mio lavoro non è quello di insegnarvi a vendere, bensì di illustrarvi un percorso che si concluda con la vendita.
Di solito le aziende concepiscono il web come un luogo a costo zero nel quale, grazie al numero enorme di “partecipanti”, per vendere è sufficiente esserci.
Il ragionamento che fanno in molti è semplice e lineare… oltre che sbagliato: se prima avevo mille persone che potevano passare davanti alla mia attività, adesso, potenzialmente, le persone sono infinite, nella misura in cui esistono individui connessi a internet.
Ciò che ci trae in inganno è quel “potenzialmente”.
La domanda vera è: “Perché le persone dovrebbero comprare il nostro prodotto?”.
Di certo non perché noi raccontiamo che è il migliore o quello che costa meno, e di certo nemmeno perché sia oggettivamente il migliore al mondo, visto che “migliore” è un concetto aleatorio e tutt’altro che oggettivo, e dipende dal soggetto che valuta.
Allora perché?
Quando noi compriamo, non scegliamo un prodotto, ma scegliamo un rapporto e un’esperienza.
Per capirci: se vendo automobili, non posso tentare di vendere semplicemente dieci quintali di ferro mossi da un motore termico che disperde l’80 % del suo potenziale in calore. Non lo posso fare se voglio fatturare, quindi devo vendere una percezione, un’esperienza potenziale, un sogno.
Devo vendere il canto rabbioso del motore, se è una macchina sportiva; oppure la sicurezza per i miei bambini, se è una macchina confortevole; o il basso impatto ecologico, se è una macchina ibrida, anche se si tratta pur sempre di dieci quintali di ferro mossi da un motore termico che disperde l’80 % del suo potenziale in calore.
Di fatto non vendo un oggetto, ma quello che quest’oggetto rappresenta e mi trasmette; o ancora, quello che l’azienda che lo produce rappresenta per me e per gli altri.
Pensate ad apple.
Io amo dire che se Apple non avesse avuto Steve Jobs sarebbe Samsung.
La grande forza di Apple, prima ancora della qualità dei prodotti, sta in quello che trasmette come status, in ciò che rappresenta.
Questa è la grande, enorme forza del brand: la percezione che si forma nella testa delle persone in riferimento a un determinato marchio.
Tratto dal capitolo 2 di “Condivide et impera”. Di seguito l’indice
Lo sguardo d’insieme
Noi siamo quello che facciamo
teorie
1. In quali casi è indispensabile fare pubbliche relazioni
2. Siamo qui per vendere, ma non lo possiamo fare “direttamente”
3. Le persone
4. I tre motori sociali
5. Come sono fatte le nostre relazioni?
6. Saliresti su un’auto che si guida da sola?
7. E tu in che gruppo di persone sei?
8. Le persone delle quali ci fidiamo
9. Chi ha più connessioni…
tecniche
10. Strutture sociali digitali: i social media
11. La “qualità” degli utenti e delle loro azioni
12. Mettersi al centro della piazza per ascoltare tutti
13. Come scegliere un influencer?
14. Come parlare con le persone e come renderle attive
15. Reagire per ristabilire la nostra reputazione in caso di crisi
Conclusioni
La trasmissione della felicità