Musk ha impiantato un chip nel cervello di un essere umano. Un’apparecchiatura formata da minuti dischetti collegati a un insieme di cavi. Questo meccanismo, che converte i segnali neurali in comandi per un computer, rende possibile la gestione del proprio smartphone o computer e, per estensione, quasi ogni altro apparecchio elettronico, mediante l’uso esclusivo della mente.
La creazione del gingillo, la sua progettazione e realizzazione, è la parte facile del processo, quella difficile è la sua installazione visto che il procedimento chirurgico rappresenta un capitolo a parte. L’installazione dei filamenti microscopici richiede la super precisione di un robot dotato di strumenti di precisione estrema, appunto, e un ago più fine di un capello per incastrare i connettori nei delicati tessuti cerebrali. Una volta posizionato, l’impianto viene interfacciato con un sistema che collega l’essere umano al computer, consentendo al paziente di interagire con uno schermo utilizzando unicamente il pensiero.
Non si conosce -per fortuna- l’identità della prima persona che si è sottoposta all’esperimento, ma potrebbe essere qualcuno costretto all’immobilità a causa di una lesione.
Siamo a livelli che nemmeno la fantascienza più spinta aveva immaginato: controllare una macchina solo con il pensiero.
Ho sempre sostenuto che il grande limite della tecnologia fossero le interfacce, la limitazione data dall’utilizzo di strumenti complessi attraverso meccanismi semplici, ma qua il problema si supera con un balzo netto.
Rimane sempre il tema: in Ghost in the Shell i “potenziati” diventano in parte proprietà dei potenziatori visto che ne controllano l’hardware. Ecco, Telepathy è una cosa formidabile, specie per chi ha problemi motori, ma queste tecnologie permeanti devono rimanere aperte, trasparenti e disinstallabili.