Qualche tempo fa mi sono trovato la timeline di Facebook PIENA di foto e video di ragazzi e ragazze di Ferrara allo stadio, che seguivano la SPAL, la squadra calcistica di Ferrara, per la trasferta.
Un enorme gruppo di persone che da Ferrara si spostano in altre città per vedere la partita di una squadra di calcio che non sempre vince (ahimè) anche durante magnifiche giornate di sole primaverile/autunnale che potrebbero essere investite in mille altri modi.
Allora mi sono fatto una domanda, semplice: perché?
La risposta, per quello che mi riguarda, non è scontata perché si riferisce ad un particolare e quel particolare è la passione, è l’amore.
E’ la passione che ti spinge a fare cose che altrimenti non faresti mai, in condizioni che molti non capiscono e che rendo gli altri, appunto, quasi perplessi di fronte alla cosa. Se non addirittura irritati (ingiustamente).
Io non amo il calcio, non mi interessano i risultati della SPAL ma capisco la passione di quelle persone, capisco quale motore le muove e le spinge, quale forza li sposta da casa di domenica per andare a vedere una partita. Lo farei? No. Lo capisco? No. Capisco perché lo fanno? Si.
Come questa ci sono moltissime altre passioni che a me personalmente lasciano perplesso ma che ad altri invece appaiono del tutto normali. Allo stesso modo ricordo di quando racconto che tutte le domeniche, per lunghi anni della mia vita, prendevo su il mio computer e il mio monitor (non portatili, proprio case e monitor non LCD) e andavo a fare i lan party a casa di un amico.
Tutte le dannatissime domeniche.
Le persone alle quali lo racconto, almeno molte di queste, mi danno del matto, alzando gli occhi al cielo e dicendomi che non sono normale, che sono cose da fanciulli.
In realtà sono normalissimo ma quella di giuocare è una passione, una forza potentissima che mi spingeva e che poi mi faceva divertire e che, tra l’altro, ero fiero di raccontare.
Le passioni sono così: se le hai le capisci e agisci, se non le hai ti sono del tutto incomprensibili.
Ma queste due “scimmie” che ho raccontato hanno una particolarità: sono individuali, riguardano noi stessi.
Se io amo la SPAL e vado allo stadio ovunque, per seguirla, di certo pubblico sui social situazioni e condizioni che riportino quei momenti, momenti che sono generati da adulti consapevoli e partecipanti al mio stesso amore per la squadra. Allo stesso modo per i lan party, ovvero le foto e i video riguardano me e i miei consapevoli amici. Oltre a questo sono situazioni circoscritte nel tempo e non sono l’unica cosa che viene pubblicata, contenutisticamente parlando.
Condividere le passioni, l’amore, è normale e lo è perché siamo animali profondamente sociali: vogliamo mostrare dove eravamo e con chi, per stabilire il nostro posto nella società, per assumere una identità definita e riconoscibile dagli altri. Quando condividiamo lo facciamo per mostrare agli altri cosa siamo noi. NOI, capite?
Ok, ma tra tutte le passioni e gli amori che una persona può avere quale potrà essere quella più viscerale, profonda, potente e costante, enormemente superiore a tutti i lan party e le partite del mondo? Senza dubbio quella per i propri figli.
Non sto minimamente paragonando un figlio alla squadra del cuore, è ovvio, sto tentando di fare dei paragoni che possano rendere, delle parabole, se vogliamo, per fare capire il senso di questo post.
Un figlio non può nemmeno lontanamente immaginare quello che un genitore prova per lui o per lei: è un sentimento diverso, a tratti deflagrante e profondo e forte e incontenibile.
Quindi, se il ragionamento che abbiamo fatto fino ad ora è corretto, la condivisioni massima sui social dovrebbe essere quella di genitori che pubblicano i propri figli, no?
Si, perché se abbiamo detto che le persone amano condividere le passioni e l’amore allora quella per i figli è la massima passione.
Si ma abbiamo anche detto che la condivisione serve agli individui per sentirsi tali, per definire una posizione nella società, per mostrare di essere parte di qualcosa. Ecco perché allo stadio le persone pubblicano gli altri ultras e durante i lan party gli altri giocatori.
Se pubblico foto o video di un bambino piccolo… pubblico qualcosa di diverso.
Personalmente penso non sia giusto pubblicare sempre e continuamente le foto dei propri figli: non che sia sgradevole guardarle, anzi per carità, credo proprio non sia giusto farlo e vi spiego il perché.
Mondo pedofili
Questo, paradossalmente credo sia il motivo meno valido. Mi spiego, è ovvio che in Rete ci saranno di certo dei malati, meschini e disgustosi, che possono fare dei pensieri che non oso nemmeno immaginare verso le foto dei piccoli, ma non è questo il vero problema.
Lo so, è disgustoso ma non è un problema che in qualche modo vi potrebbe riguardare, pensateci, purtroppo questi dannati usano altre strade per le loro viscide manovre.
In ogni caso è sufficiente restringere la cerchia di persone che possono vedere le foto in modo che siano pochi a poterle vedere, pochi e fidati. Facebook ci da questa possibilità, usiamola.
Furto d’identità
Ecco, qua la cosa è più probabile anche se meno disgustosa al pensiero. In base al secondo Teorema di Rudy Bandiera, che sono poi io, la Rete è piena di idioti quindi direi che è bene ricordarlo sempre, specie se si postano foto di bambini.
Non è la prima volta che qualcuno si impossessa della foto di altri ma se la foto “di altri” è di vostro figlio la cosa si complica, sia per quello che riguarda le vostre reazioni sia per quello che riguarda il vostro stato d’animo.
Reazioni
Le vostre reazioni, dicevamo. Si perché se io dico a un mio amico su Facebook che la la testa grossa probabilmente questo si metterà a ridere ma se lo dico di suo figlio come la prenderà?
Quando qualcuno non parla di me ma della mia creatura, ragionevolmente sarò più sensibile perché NULLA si può dire ai figli: le persone che parlano dei miai figli sui social non parlano con me ma con un mio sottoprodotto, con una persona che ha reazioni diverse da quelle che avrebbe parlando con la persona stessa.
Febbre da like
Ognuno di noi gode nel trovare consenso: lo facciamo sempre, lo facciamo ovunque. Ci piace piacere e non esiste modo migliore per piacere che mostrare qualcosa di incontrovertibilmente bello: un bambino.
Quindi iniziamo a postare i nostri figli perché sono belli, perché li amiamo e perché ci fanno fare tanti tanti tanti like. Quando pubblichiamo qualcosa senza bambini non facciamo lo stesso numero di commenti e a noi piace fare like e commenti quindi, cosa facciamo? Pubblichiamo ancora foto dei bambini e sentiamo che la nostra popolarità crescere, si gonfia così come il nostro ego, senza minimamente pensare a quello di cui abbiamo scritto sopra.
Lo facciamo perché è una nostra soddisfazione personale, egoistica, non di nostro figlio. Nostro figlio non sa nemmeno cosa sia un social e non ha ancora aperto gli occhi: lo facciamo per noi, non lo facciamo per lui.
I vostri figli NON sono voi
E qua veniamo al punto finale, a mio avviso. I vostri figli non sono voi.
Avete aperto un profilo Facebook con il vostro nome, non con quello di vostro figlio il quale, quando vorrà, se lo farà per conto suo.
Tutte le forme di passione e di amore descritte all’inizio del post implicano condivisione di persone consapevoli mentre i vostri figli non lo sono. Forse non saranno felici di trovare le loro foto con il pannolone in tutta Internet, quando avranno 14 anni, o forse si, ma non sta a voi deciderlo adesso.
La vostra identità è vostra e quella di vostro figlio di vostro figlio: non ti devi annientare, annichilire per mostrare qualcosa che è una passione e un’amore solo per te. Si perché ognuno ha il proprio figlio e quindi la propria passione e quindi il proprio amore.
Concludendo
Non voglio assolutamente dire che sia sbagliato pubblicare foto di bambini: penso che ognuno debba fare le cose in base alle proprie abitudini ed in base alla propria sensibilità. Quello che trovo sbagliato è usare i social per pubblicare SOLO contenuti riguardanti i propri figli.
Ci sono molte coppie di amici che hanno un modo di condividere info sui figli che è naturale e normalissimo: d’altronde una madre vive con il figlio per una buona parte della sua esistenza, cosa dovrebbe raccontare altrimenti?
Ma la vita non è solo quello, le passioni non sono solo quelle, voi non siete solo quello e i vostri figli NON sono voi.
Sono un divulgatore digitale, consulente e #TEDx speaker: aiuto le aziende e i professionisti a generare fiducia e a comunicare in modo efficace online. Ho scritto 3 libri su tecnologia e digital: Web 3.0, Digital Carisma e Condivide et Impera.
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