Durante la Seconda Guerra Mondiale i ragazzi del Gruppo di Ricerca Statistica della Columbia University si sono messi a studiare un modo per non perdere un sacco di bombardieri ogni volta che volavano. Problema non da poco.
Guardando gli aerei che facevano ritorno tutti crivellati, i militari pensavano di rinforzarli proprio dove si erano presi la maggior parte dei colpi: corazzarli dove ce n’era bisogno, pensarono, ma il matematico e statistico ungherese Abraham Wald, che evidentemente era un geniaccio dalla mente apertissima anche se non lo sapeva ancora, ha detto: “Ehi, perché non mettiamo l’armatura dove NON ci sono buchi?”.
Ovviamente gli altri lo guardarono malissimo perché sembrava un’idea letteralmente pazza, ma Wald in realtà aveva capito una cosa fondamentale alla quale gli altri non avevano pensato: gli aerei che il gruppo di cervelloni riusciva ad analizzare erano quelli che ce l’avevano fatta a tornare, che avevano resistito ai colpi: per questo motivo il buon Wald concluse che bisognava proteggere di più le parti degli aerei che tornavano senza danni, quelle che, se venivano colpite, probabilmente mandavano giù il mezzo, cosa che si supponeva fosse successa a quelli che non erano riusciti a rientrare.
Quello che ho appena raccontato è il “bias del sopravvissuto” ovvero un bias cognitivo che si manifesta quando, nella valutazione di una situazione, si prendono in considerazione esclusivamente quegli elementi che hanno già superato un processo di “selezione”, i “sopravvissuti”, appunto.
Il bias del sopravvissuto è un errore di valutazione che avviene quando ci si basa solo sugli esempi di successo, ignorando chi non ha avuto la stessa fortuna. Questo ci porta a sovrastimare le possibilità di successo e a sottovalutare le lezioni che si possono imparare dal fallimento.
In sostanza, ci fa vedere la realtà in modo troppo ottimista e non ci permette di avere un’immagine completa, perché tralasciamo i fallimenti che sono altrettanto importanti per comprendere i rischi e cosa evitare.
Enzo Ferrari teneva le sue riunioni in quello che chiamava il “museo degli errori” ovvero un luogo dov’erano esposti i pezzi che avevano ceduto in gara.
Non si facevano riunioni celebrative in cui ognuno raccontava quanto è bravo ma si facevano per analizzare gli errori, i problemi, esponendoli.
Senza saperlo Ferrari, da geniaccio qual era, stava smontando il bias del sopravvissuto parlando in modenese, mangiando tortellini, bevendo Lambrusco e senza essere un matematico :)