Li ho vissuti e me li ricordo, ma guardando in giro e sentendo le persone che “li raccontano”, mi sembra di avere dei ricordi diversi, di averli percepiti in modo diverso.
So benissimo che tutti noi abbiamo ricordi molto più belli di quello che è stata la nostra vita in realtà. È il motivo per cui “l’effetto nostalgia” nel marketing e sui social funziona così bene: frasi come “ai miei tempi c’erano dei veri ideali” sono un classico e non smetteranno mai di esserlo.
Poi mi sono imbattuto in questa immagine. Li ascoltavo, questi tizi qua. A dire il vero, a volte li ascolto ancora: dei pazzi, letteralmente, con dei testi del tutto assurdi e fuori di testa, ma che – se non ascolti le parole – ti caricano.
Ma il punto è un altro: la copertina per me È gli anni ‘80.
L’album “Into Glory Ride” dei Manowar è uscito nel 1983. È il loro secondo album, e la copertina è plastica, evocativa, magnifica nel cristallizzare un periodo fatto di una sola cosa: immagine. Finta. Patinata.
Questa copertina è pazzesca: loro sono tremendamente finti. Sono finte le mazze che afferrano, al limite del ridicolo per dimensioni e materiali. Sono finte le loro pose da guerrieri, i loro atteggiamenti da duri. Sono finti – palesemente fuori dal tempo e dalla realtà – i costumi. Sono gli anni ‘80.
Gli anni ‘80 sono stati finti, di plastica. Effimeri.
Lo so che molti di voi adesso mi prenderanno per matto e diranno “ma non è vero, si stava bene e sono stati anni magnifici”, ma io non ho mai pensato che non si stesse bene. C’era un’enorme fiducia nel futuro (nonostante la guerra fredda) e si pensava che la crescita fosse infinita. Forse per questo era tutto posticcio.
Non c’era bisogno di realtà, perché si sapeva, dentro di noi, che c’era ma era brutta: meglio lasciarla nascosta dietro questi costumi, queste mazze, queste pose da duri.
Gli anni ‘80 sono stati una coperta luccicante a coprire la realtà che sarebbe arrivata, come un tuono, nella decade successiva.