Questa è la testimonianza di Stefania Cacioppo 22 anni, castelvetranese, studentessa di scienze dell’investigazione all’università dell’Aquila, residente nella casa dello studente, andata distrutta dal terremoto che colpì l’Abruzzo il 6 Aprile 2009. Il pezzo è stato scritto da Patrizia Vivona e mi è stato concesso da Flavio Leone che per primo ha pubblicato il pezzo su castelvetranoselinunte.it
“Abbiamo avvertito una scossa verso le 23, al contrario delle altre, che ci accompagnavano già da tre mesi, questa durò molto di più e a differenza delle prime, durò il tempo di vestirci e scappare mentre tutto ancora tremava lasciando però ogni cosa al suo posto. Ci ritrovammo tutti nel cortile dell’edificio, tutti, compreso coloro che io chiamo amici e che adesso non ci sono più. Si scherzava, si rideva, insieme alla paura che ormai faceva parte dei nostri giorni, si sdrammatizzava insomma; a lungo siamo rimasti fuori, ma il pericolo sembrava essere scampato appena la terra si fermò. Erano l’una della notte, eravamo in macchina questa volta non l’abbiamo sentita, ma ho realizzato che aveva ancora tremato per la molteplictà della gente che affollava le strade. Ormai tutto questo sembrava far parte della nostra vita quotidiana, perciò tornammo a casa rassicurati dalla gente che garantiva che le scosse, prima o poi, sarebbero scemate, per farci ritornare alla vita di sempre.
Non riuscivo a dormire, avevo un brutto presentimento e andai a letto vestita, fino alle 2:45 sentivo mio fratello, avevo paura, ma lui mi rassicurava perchè dopo due giorni sarei ritornata a casa. Mi addormantai… Alle 3:32, il soffitto per metà crollò nella mia stanza, le scrivanie erano a terra, le finestre sbarrate, ” devo scappare” pensavo… per le scale! La mia coinquilina urlava ed io con lei, sono riuscita ad aprire la porta, sotto il nulla… non c’erano più le scale, le camere dei miei amici, il corridoio; ma solo un grande buco di cinque piani. Le uniche camere rimaste: la mia e l’adiacente, solo perchè le uniche esterne, e il nostro piccolo bagno con l’unica finestra accessibile.
Abbiamo rotto la finestra, e ho iniziato a urlare, con tutta la mia forza, per farmi sentire dal mio ragazzo, sollecitando così l’unico soccorso che c’era e che tardava ad arrivare, mentre le scosse continuavano ogni cinque minuti. Più il tempo passava e più mi rendevo conto che quella sarebbe stata la mia ultima notte. Avevo il telefono in tasca e chiamai mamma, per l’ultimo saluto, lei immediatamente iniziò a sollecitare i soccorsi con telefonate incessanti, mentre papà e i miei fratelli erano già in viaggio.
Alle 4:50 finalmente ho visto la luce, luce che era di salvezza, i vigili erano arrivati, il braccio meccanico mi liberò insieme ad altre due mie amiche, lasciando sù l’ultimo ragazzo del mio piano, salvato subito dopo. Quando sono scesa la disperazione era tanta, cercavo tra la folla i miei amici, il mio ragazzo, i miei unici compagni di vita, rendendomi però sempre più conto, che molti erano sotto quelle macerie; soprattutto… il mio migliore amico.
Il teremoto mi ha tolto tutto, dalla materialità degli oggetti, ai miei amici, soprattutto “Michelone” un ragazzo palestinese conosciuto tre anni fa, un fratello per me, un compagno, un confidente, una famiglia in assenza della mia. Michelone è morto e con lui la mia felicità, questo non è un incubo, non mi sveglierò domani sentendo la sua risata, o vedendo a mensa la sua buffa camminata, mi rimane solo un bracciale, con sù scritto JESUSALEM non ho più nulla nè foto nè video su cui piangere, mi rimangono solo i ricordi ma da cui non riuscirò nè a toccarlo, abbracciarlo, se n’è andato per sempre e nessuno più mi ridarà la gioia di rivederlo.
Adesso sono a casa, adesso i miei cari possono baciarmi e piangere insieme a me per questo miracolo, sono spaventata, sono distrutta, amareggiata, ma sono viva e consapevole che i miei amici non li ha portati via il terremoto, ma la superficialità di un’Italia che per agire ha bisogno di queste tragedie. Sognare è meglio di vivere ma quando il sogno finisce, non ci resta altro che vivvere con la speranza di sognare ancora.””
Ora tutti corrono, e danno solidarietà’, meno male, almeno questo. Anche il nostro presidente del consiglio è stato gia’ 5 volte nella zona del terremoto, e mette a disposizione 3 delle sue case, bene, peccato che si dimentica di dire alla gente che si trova in campeggio, che solo poche settimane fa,’ con il decreto mille proroghe, è stato rinviato ulteriormente l’entrata in vigore della legge per costruire in modo antisismico. Cara Patrizia, io tento di capire il tuo dolore, e ti do tutta la mia solidarietà’, ma spero di non provare mai il tuo dolore. Un abbraccio a tutto l’Abruzzo.
Chiedo scusa, ma il nome della ragazza era Stefania e non Patrizia.