Siamo spesso portati a pensare che i social siano il posto peggiore del mondo: leoni da tastiera, bulli, anonimi individui che attaccano con la certezza (o pseudo tale) dell’immunità.
Pensiamo che i social siano una porcheria che racchiude, o meglio che libera, tutte le peggiori pulsioni dell’uomo.
Tuttavia, quello che a volte ci sfugge è che i social non sono altro che uno specchio deformante in grado di amplificare quello che siamo davvero, nel bene e nel male.
Di fatto non sono i social a fare schifo ma alcune persone che li abitano: alla fine è solo una questione di scelta.
“Così come al giorno d’oggi molta attenzione è data all’impronta ambientale (carbon-foot-print), altrettanta enfasi merita quella sociale (social-print), lasciata da migliaia di content creator, i divulgatori più ascoltati del nostro tempo. Proprio dalla fusione delle parole social-print (impronta sociale) nasce Sprint, un riconoscimento aperto a tutti quei protagonisti (creator, agenzie, imprese, enti del no-profit e istituzioni) capaci di esprimere una presenza di valore nell’ecosistema digitale.”
Da un’idea dell’amico Massimiliano Dona è nato #sprintaward che ho avuto l’onore di condurre insieme al succitato Max e a Marco Carrara, in una serata romana bellissima in cui ho visto con i miei occhi persone che fanno della qualità del proprio messaggio, la propria missione.
Il clima che si respirava si percepisce dalla foto: sorrisi.
Ci siamo divertiti, com’era inevitabile vista la platea di aziende e creator straordinari (credo di avere contato almeno una decina di milioni di followers davanti al palco) e abbiamo visto i social dal loro lato migliore.
Mi viene in mente il giuramento agli ateniesi al tempo di Pericle: giuro di lasciare Atene migliore di come me l’avete lasciata.
Ecco, il senso di quello che ognuno di noi fa, la propria impronta, deve andare in questa direzione.