L’abbiamo detto e ripetuto un miliardo di volte e credo che almeno qua, nessuno possa avere da ridire: siamo in un mondo che non ha uno storico, il digital non ha una storia dalla quale possiamo prendere spunto, la facciamo noi, ogni giorno.
Non esiste una giurisprudenza da studiare, non ci sono abbastanza case history e soprattutto non ci sono sufficienti anni di pratica da poter avere creato una “morale” attorno al mondo dei social ovvero un’etica condivisa. Anche questo spetta a noi, ogni giorno.
L’etica studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale. (fonte)
L’etica la costruiamo noi, giorno dopo giorno, con i nostri comportamenti.
Partendo sempre da condizioni iniziali condivise mi sento anche di affermare, con parole non mie e dopo avere parlato di etica, quanto segue:
Un marchio non è più quello che l’azienda racconta ai consumatori, ma quello che dicono i consumatori sul marchio
Questa frase di Scott Cook, CEO di Intuit, è certamente e senza dubbio accolta da tutti. A questa aggiungo quella di un guru, anzi DEL guru in assoluto, Philip Kotler che dice in sostanza che B2B e B2C non esistono più ma esiste solo B2P dove P sta per people, genti.
Il B2P è il business verso le genti, non verso i consumatori o le aziende
Ora, fatte queste dovute premesse è ovvio, se si assume come vero quanto appena detto, che le aziende non possono non notare una cosa di questo tipo, il B2P, e non possono non cambiare il loro modello, diciamo… di adv.
Se tutti siamo qua a dire che vende più una faccia di un marchio, se diciamo che le persone si fidano delle persone, se diciamo che la gente ascolta l’altra gente e se ammettiamo che i brand debbano comportarsi come persone allora saremo certi che l’adv si sposta sulle persone. E, per altro, non è più ADV in effetti.
Si chiama influencer marketing ed è quella cosa che fa si che siano i consumatori i veicoli d’immagine di un prodotto.
L’Influencer marketing è una forma di marketing basata sull’identificazione delle persone che hanno influenza sui potenziali acquirenti e le attività di marketing sono focalizzate quindi su queste persone influenti. Lasciando poi che questi ultimi, sostanzialmente in autonomia, a loro volta influenzino il grande pubblico. (fonte)
Se volete chiamatelo marketing dell’influenza, o digital PR, o pubbliche relazioni digitali ma rimane il senso della cosa.
Pensate ad Apple che è stata l’azienda che meglio è riuscita a fare questa operazione: Wozniak dice che il Mac non è un computer, è uno stile di vita e in quanto tale tu non compri tecnologia, compri un modo di essere. E’ così per tutto, per la moda ad esempio, o per la scelta tra PC o Mac, o tra Android e Apple come scrivevo di recente su un post per Che Futuro.
Ma allora cosa pensare delle piattaforme come Buzzoole che è riuscita a radunare quasi 30.000 influencer (il 70% italiani) in un marketplace a cui le aziende possono rivolgersi per distribuire contenuti e promozioni.
Faccio questo esempio perchè è lo stesso fatto dal mio socio, Skande, l’altro giorno in questo post in cui si è sollevato il cataclisma totale e globale.
Come funzionano questi sistemi? Uno si iscrive ed inserisce i propri social, come accade per Klout per esempio, e il software “ti misura” in base alle caratteristiche sociali che ti appartengono. Allo stesso modo in piattaforma esistono delle aziende, diciamo dei clienti, che individuano gli “influencer” in base alle caratteristiche di riferimento, che so, se sono più cazzuti in sport o fashion per dire.
Pensate a Klout Perks, per dire
Perks are exclusive rewards you earn for your influence. Every day, influencers receive amazing products, discounts and VIP access that is only available to Klout users.
Nulla di nuovo sotto il sole.
Le aziende cercano le persone che in qualche modo sono in grado di influenzare le altre persone.
Questa cosa si è sempre fatta e si farà sempre.
Il problema allora dove sta? Nel fatto che chi fa campagne per aziende, quindi si fa pagare per parlare di qualcosa, non è trasparente o almeno qualcuno lo percepisce come tale.
Secondo me il problema, se di problema si tratta, sta tutto nel come le persone si pongono verso il prodotto o il servizio che andranno a pubblicizzare. Dicevo l’altro giorno su Facebook, se io compro una 500 lo faccio perché mi piace, mi piace molto e se mi piace molto di certo la fotografo e la mostro sui social. Sono fiero della mia 500 e la voglio mostrare. Che male ci sarebbe se da questa operazione ne traessi un ritorno in buoni Amazon, per esempio?
Quello che adesso definiamo problema è un falso problema, oppure è l’evoluzione di qualcosa che è sempre esistito sotto diverse forme come ad esempio il product placement, solo che adesso sono le persone verso le persone a veicolare un messaggio, non il cinema verso la TV o cose simili.
La questione etica è di semplice risoluzione: chi partecipa a campagne che etichettiamo come di influencer marketing deve CREDERE nel prodotto o nell’azienda che, di fatto, pubblicizza. Se questa pratica è prodotta in questi termini allora è moralmente accettabile, altrimenti è una marchetta.
Molte volte mi viene chiesto di scrivere cose sul mio blog in cambio di soldi e generalmente non lo faccio per un semplice motivo, perchè penso che
la credibilità di tutti noi sia la cosa più importante del mondo.
La credibilità si costruisce negli anni, giorno dopo giorno, in base non solo alle nostre azioni ma anche alle nostre reazioni ed è tutto quello che abbiamo.
Non possiamo giocare con la nostra credibilità e metterla alla berlina di qualcosa o qualcuno in cui non crediamo. Ma c’è il rovescio della medaglia, che è la parte positiva: grazie alla credibilità, che quindi è un valore, l’influencer ha assunto un grande bacino di utenti, di amici diciamo, o di lettori, che si fidano di lui/lei. Quindi, se questo è un valore (e lo è) perché non farlo fruttare?
Perché se ci viene proposto un prodotto, per esempio, che ci piace da matti e con il quale ci troviamo bene, non dobbiamo avere un ritorno nel parlarne? E’ su questo che baso
Il teorema del Triplo Win, del win-win-win, che è molto più fiko del win-win.
1- Primo Win
L’azienda ha un ritorno di immagine e di vendite perchè le persone si fidano dell’influencer e quindi evviva.
2- Secondo Win
L’influencer ha addirittura un doppio win ovvero ha un ritorno dall’operazione e rende felici i suoi lettori con un prodotto/servizio valido
3- Terzo Win
L’utenza, i lettori sono felici perchè da una persona che si fidano hanno avuto dei consigli ragionevoli e funzionali su cosa che OGGETTIVAMENTE volevano.
Addirittura è un triplo e quintuplo perchè ogni Win ne contiene almeno un altro. Ora, ditemi voi, dove sta il problema? Non esiste, questo dannatissimo problema se non nelle persone che affrontano questo nuovo approccio commerciale in modo malato, insano e piratesco, ma confido nel fatto, e ci credo davvero, che gli individui che hanno raggiunto un buon grado di credibilità siano in grado di discriminare tra quello che è giusto fare, quello che non è giusto fare e quello che è giusto farsi pagare per fare.
Grazie ai fotografi Elisa Piemontesi e Lorenzo Lucca che hanno la pazienza di seguirmi et fotografarmi con perizia, ironia et cura della mia personcina. E scusate per la foto buffa ma mi sembrava l’ideale per alleggerire un argomento che di buffo ha poco ;)