Viviamo in un mondo composto da tre fasce precise di persone, che non si incontrano mai tra loro se non in modo dozzinale e poco approfondito.
Mi autocito da Rischi e opportunità del Web 3.0
Nativi analogici
Quelle persone nate “troppo presto” per poter godere appieno della tecnologia mobile e dell’informatica, di Internet e di Google. Le persone che si sono ritrovate in età avanzata in piena rivoluzione, senza essere in grado di capire la tecnologia perché troppo distante dal mondo precedente, dal mondo che hanno sempre vissuto.
Ibridi tecno-analogici
Poi ci sono quelli nati a cavallo tra due generazioni, tra l’inizio e la fine degli anni ’70, quelli che di fatto hanno vissuto una metà della loro vita offline e metà online.
Sono quelli che oggi hanno attorno ai 40 anni, che sanno benissimo che cos’era la vita prima del cellulare (anche se non se la ricordano perchè sembra Cretaceo) e che hanno le idee chiare su quello che accade oggi nel mondo della tecnologia.
Sono la generazione, a mio modo di vedere, più fortunata: non troppo giovani da avere vissuto il mondo offline, e non vecchi per il mondo online.
Nativi digitali
Poi ci sono i nativi digitali, il fenomeno di tutti quei ragazzi nati in piena esplosione della Rete. Quella generazione che non dice “mi compro un album” ma dice “mi scarico un album”.
Quella generazione che non ha la concezione di quello che fosse il mondo fino a poco più di 10 anni fa: quelli che sono nati con il cellulare all’orecchio, che non sanno cosa sia Encarta perché hanno Wikipedia e che, tanto meno, non sanno cosa sia stata la Treccani perché hanno Google.
Ecco, questa è la generazione di domani. La nostra speranza.
Io personalmente ammiro molto questa generazione, anche se ne ho timore, non un timore fisico, ovviamente, ma un timore nato dal fatto che sono nati e vissuti, e che quindi percepiscono come normale, il mondo intangibile della Rete senza essere passati per quello tangibile della real life.
Una grande speranza, certo, ma un grande punto interrogativo.
Si perché non sappiamo a quali risultati porterà la rivoluzione che stiamo vivendo. Non sappiamo quali risvolti antropologici ci saranno, per una generazione di persone che ha caratteristiche, anche neuronali, del tutto diverse da quelle precedenti.
In pratica non sappiamo nulla. Quello che possiamo fare, di nuovo, è essere consapevoli di quello che stiamo vivendo così come dobbiamo essere consapevoli che la tecnologia è un mezzo, non un fine.
Ora, il problema di queste tipologie di persone che vivono lo stesso spazio fisico ma non condividono lo stesso spazio vitale, è che rischiano di non incontrarsi mai e quindi di non capirsi e quindi di non comunicare: il rischio al quale ci mette di fronte la nostra tecnologia, il Web e tutti i dispositivi pervasivi che utilizziamo di continuo è quello dell’incomunicabilità.
Se non ci si conosce si ha paura. Se si ha paura non si comunica. Se non si comunica non si capisce. Se non si capisce sono cazzi.
Ora, cosa dobbiamo fare? Chi ha la responsabilità di quello che sta accadendo? Di chi è la colpa del fatto che genitori e figli abbiano spazi siderali mai raggiunti prima tra loro?
– Dei figli perché non si sanno approcciare all’autorità?
– Dei genitori perchè non si sanno approcciare a nuovi modi di comunicare e di vivere?
– Della scuola perchè non prepara nessuno, professori, alunni e genitori al nuovo mondo che ci si para davanti?
– Dei professori che non capiscono i loro alunni?
Sapete di chi è la colpa? E’ di tutti.
Oggi ho fatto due seminari al liceo Cevolani di Cento, in provincia di Ferrara, parlando alle classi quinte e dando quello che viene definito un aiuto per l’indirizzo.
Quello che ho capito, o meglio quello che si è confermato nella mia testa e che sapevo da tempo dopo diverse esperienze nelle scuole, è che i giovani non sanno NULLA. Nulla di quello che utilizzano, delle tecnologie, dei modelli che stanno dietro alle cose, della loro privacy e dei loro dati ma sono anche totalmente INNOCENTI di fronte a questa cosa.
Sono innocenti perchè in questo mondo digitale ci sono nati, non hanno parametri di confronto
non sanno che la musica digitale è passata per Napster perchè non sanno cosa sia Napster! Non conoscono Altavista o Lycos perchè esiste SOLO Google.
Non sanno nulla perchè sono vissuti in questo mondo iperbolico e nessuno gli spiega nulla: la scuola non è deputata -evidentemente- i profe non ci capiscono nulla e i genitori men che meno.
Allora cosa facciamo? Dobbiamo cambiare, tutti noi, e metterci in gioco per inseguire quella benedetta consapevolezza che è la nostra unica salvezza.
Se insegnassimo “educazione civica digitale” sarebbe una cazzata?
Nelle scuole delle città una o due ore al mese tenute da un imprenditore giovane, sveglio, con doti di relatore, che possa tenere li i ragazzi e farli stare svegli, seguendo i loro ritmi e il loro linguaggio, non quello della sovrastruttura scolastica che è del tutto superata. Un uomo o una donna che lavorano ma che sanno comunicare, che possano passare valori e ENTUSIASMO, quell’entusiasmo che oggi manca in tutto.
Allo stesso modo parlare ai genitori, una o due volte al mese, per fare capire loro cosa fanno i figli, per renderli consapevoli e partecipi, per farli vivere sereni e consci di quello che succede.
Tutto questo non sarebbe un passo in avanti, una evoluzione in un Paese in cui cambia tutto per non cambiare mai nulla?
Qualche mese fa ho presentato un progetto di educazione civica digitale al Comune di Ferrara, su idea dell’amica Francesca Soriani, ma certamente non verrà accettato perchè manca budget per mettere in piedi una cosa simile.
Io penso sinceramente che il budget, per cose di questo tipo, dovrebbe saltare fuori semplicemente perchè ne va del futuro di tutti noi: