Psyco Intervista a Riccardo Esposito. Di Francesca Ungaro.
Ciao Riccardo, ti apro le porte dello studio e ti metti comodo, okay?
Mentre ti rilassi, ho il tempo di chiederti scusa pubblicamente, perché la prima e (per ora) unica volta che ti ho visto ti ho aggredito. Non mi seguivi su Twitter!
Si è placidamente liberi di followare e defolloware chi si vuole, ma ci tenevo così tanto, ti ricordi? Cos’hai pensato di me?
Considera che cervello e #psycointerviste non vanno d’accordo, quindi non pensarci troppo.
Sì che ricordo. Sai cosa? Sono incasinato.
Perdo pezzi per la strada. Do il massimo nella scrittura, che è il mio lavoro, e a volte sacrifico i rapporti social-personali. Se mi lasci un messaggio via Facebook non lo leggerò mai. Un DM su Twitter poi…
Insomma, hai fatto bene a riprendermi e io ho fatto stra-bene a seguirti.
Mi son detta: caspita che professionista! Come diavolo fa a lavorare sui Social Media e starci in realtà così poco?
Metodo, Francesca, ci vuole metodo. Quando si scrive, si spegne perfino il cellulare. L’ho imparato perfino io, ormai.
La domanda è: quanto tempo ci hai messo a trovare un equilibrio nel lavoro di Freelance?
Vivere, scrivere, essere Social, cioè presenti (quasi) sempre su tutti (quasi) i network. Mica facile. Io a volte mi dimentico di mangiare.
Probabilmente non l’ho ancora trovato, un vero e proprio equilibrio. Ci provo e ci riprovo.
Lavoro tanto. Sempre. Dalle 6 di mattina. E non ho un limite.
C’è un’unica forza che ti permette di lavorare (quasi) ogni giorno, (quasi) per 12 ore al giorno senza accusare stanchezza, noia e (quasi) un esaurimento nervoso.
La passione. Cribbio, la passione.
Solo con questa magica essenza puoi farcela.
Poi c’è la tecnica, poi c’è l’esperienza. Ci sono i tool che ti permettono di velocizzare la tua presenza online. Ma alla base c’è la passione.
Pro e contro della vita del Freelance.
Come sei arrivato ad amare questo lavoro?
Ho imparato ad amarlo. In realtà, ho sempre inseguito il posto fisso.
Sai, è il mito di tutte le nonne e di tutte le mamme. E’ anche l’obiettivo dei neolaureati. Tutti ti vedono dietro una scrivania e, in fin dei conti, ci speri anche tu.
Poi la verità è così diversa!
In fondo, anche il dipendente è un po’ freelance: deve reinventarsi giorno dopo giorno e l’instabilità è sempre dietro l’angolo.
Il vantaggio della Partita Iva è che puoi decidere in modo indipendente i passi da fare.
La visibilità non porta a casa il pane, quindi giustamente tu lavori e sui social ci cazzeggi poco.
Scusa il termine: è quello che va per la maggiore.
Di te appare il Professionista: l’Uomo Social molto meno.
E’ una scelta o è nel tuo carattere?
In realtà, manca il tempo: non cado nel cazzeggio perché se non lavoro sto con le persone care, faccio sport, suono con la mia band, leggo.
Discorso a parte è usare l’ironia per entrare nelle grazie di chi ti segue. Lo insegna Rudy: per comunicare bene devi divertire. Ma questo non è cazzeggio. Almeno credo.
Sei laureato in Scienze della Comunicazione, ma con la Cattedra di Antropologia Culturale sei stato perfino nel Mato Grosso per conoscere la popolazione dei Bororo.
Roba che ti forma, che lascia il segno.
Come hai fatto a non rimanere affascinato dall’Antropologia e metterti a fare il Freelance?
Se la domanda ti sembra cattivella, considera che chi te la pone ha lasciato la Professione Clinica Ospedaliera per scrivere qui.
La vita è strana: ti porta in giro, ti sbatte a destra e a sinistra e ogni giorno sei di fronte a una scelta.
Sono stato in Mato Grosso e a Tokyo perché volevo seguire la carriera accademica nel campo dell’Antropologia Culturale. Pubblicavo contributi in riviste del settore antropologico che riprendevano le mie prime, timide, ricerche.
Il mondo del dottorato, però, è duro: è come un cerchio magico, è difficile entrarci.
Alla fine sono finito qui. Ecco.
Senza pensarci, dimmi tre cose che ami della scrittura e tre cose che non ti farebbero mai lasciare Anacapri.
Amo la scrittura perché mi permette di lavorare con la creatività, perché è estetica allo stato puro, perché sa come prendere a ceffoni la gente.
Amo Anacapri perché è autentica, accogliente, lontana 1000 anni luce dalla grigia città.
Volevi mica dire Milano, vero?