Ho aspettato oggi a scrivere questo articolo perchè ieri, essendo il primo di aprile, mi pareva assurdo che quasi 3 milioni di persone avessero visualizzato il mio profilo Google Plus. Come se Milano intera, o che so Roma, fosse passata di li. Adesso aspettiamo Città del Messico… comunque, dicevo, credevo fosse un pesce d’aprile.
Ma visto che da ieri a oggi il numero è rimasto ed anzi è aumentato, mi viene da pensare che Google faccia sul serio.
Quello di seguito è il numero visualizzato ieri nel primo pomeriggio e quello che vedete in testata di questo post quello di adesso, nel momento in cui scrivo.
Come vedete sono diversi, ergo dinamici.
Bene, Google dicevamo fa davvero sul serio con Google Plus, e questo ormai è evidente a tutti, il gingillo con il + si pone non solo come social network ma come hub totale di servizi Google: da Hangount passando a Places, da Maps, passando a Local, dalle pagine arrivando all’authorship per capire di chi è, davvero, un contenuto.
E qua sta l’inghippo. L’authorship, quel sistema che permette di incrociare i contenuti scritti su un sito con chi ha scritto realmente questi contenuti (incrociare grazie a reciprochi link da e verso Google Plus) non sempre funziona alla perfezione. Lo so, è una battaglia persa, ma io non mi arrendo.
Secondo Google i contenuti scritti su RudyBandiera.com NON sono di Rudy Bandiera.
Lo sono quelli scritti su hwGadget.com lo sono quelli scritti su NetPropaganda.net ma non quelli qua, sul MIO sito.
Andate qua e vedrete che tutto quello che riguarda l’incrocio dei dati è corretto. Andate qua e vedrete che mi vengono attribuiti i contenuti ed andate qua e noterete che il mio profilo Google+ è perfettamente configurato e riconosciuto da Google stesso.
Allora, perchè dagli strumenti per Web Master Goolgle non mi attribuisce gli articoli? Perchè in SERP fa la stessa cosa?
Non è mia intenzione frignare, ma semplicemente portare alla vostra attenzione un problema che, in futuro, potrebbe diventare pressante per molti di noi: se tutta la nostra comunicazione è in mano ad aziende che non siamo in grado di controllare o di contattare o con le quali non possiamo discutere o spiegarci o scendere a patti, come possiamo vivere nella serenità che la nostra comunicazione andrà a buon fine?
Come possiamo basare tutto di noi su sistemi che, anche se non funzionanti, non sono per nulla influenzati dalle nostre richieste? Se scriviamo articoli in authorship, Google dice che ce la attribuisce ma non ce la attribuisce, a chi possiamo dire qualcosa? Con chi ci possiamo lamentare? Con chi possiamo denunciare il disservizio? A nessuno.
Stiamo dando tutto in mano ad aziende straniere che controllano al 100% la nostra comunicazione, la nostra identità online, quello che siamo e quello che potremmo diventare: la consapevolezza della nostra incapacità di intervenire su cose che riguardano noi stessi, dovrebbe essere un motore che ci spinge a capire (e a fare qualcosa) per riappropriarci dei nostri dati e per essere consapevoli che lo strapotere tecnologico rischia, con il tempo, di portare verso la tecnocrazia.
Il Web 3.0, l’Internet di domani, per non spaventare e per essere davvero un trampolino acceleratore per il nostro futuro, dovrà possedere una qualità importantissima: l’equilibrio.
Se il sistema sarà sbilanciato verso le aziende non saremo mai liberi dal vincolo che le aziende stesse decideranno di mantenere e senza la possibilità di “dire la nostra” rimarremo solo una forma digitale di carne da macello. Saremo dati da macello.