Vi racconto una storia, anzi due storie che si intrecciano tra loro e che insieme diventano quello che i bravi del ueb chiamano storytelling.
Questa mattina, 27 novembre 2014, sull’autostrada “del sole” A1 è avvenuto un fatto curioso: tra Piacenza e Lodi una macchina nera con tre uomini armati ha disseminato di chiodi la frequentatissima autostrada per cercare di fermare e poi di rapinare, un furgone portavalori.
Per motivi ancora da accertare nel momento in cui parlo, onore al merito dei ragazzi del furgone che sono riusciti a scamparla e ad evitare la rapina. Poi ragazzi, forse c’è qualche imprecisione nel racconto perchè sta avvenendo ora eh.
Adesso ovviamente è caccia ai banditi con l’auto nera, ma la ricaduta sulle nostre povere vite è che l’A1 è stata chiusa per ore e ore con la conseguenza generazione di code chilometriche che ne conseguono.
Proprio mentre accade tutto questo un babbeo, che chiameremo per convenzione Rudy Bandiera, si sveglia in un bell’alberghetto di Basilio, vicino a Milano, dopo una bella serata passata tra amici in Mediolanum Corporate University.
Il suddetto babbeo si sveglia con calma verso le 8, si fa una bella doccia, colazione, paga alla reception e sale sulla sua Smart Brabus per tornare verso Ferrara dove lo aspettano praticamente due giorni di arretrati di lavoro.
Ha premura di tornare in uffizio, Rudy, quindi apre Google Maps, scrive “casa” nella barra di ricerca e il Nexus 5 restituisce il percorso per andare verso Fe ma Rudy, che non è scemo,
si accorge alla prima curva che qualcosa non quadra perchè Google gli indica di curvare a destra dove avrebbe dovuto curvare a sinistra.
Il dubbio che ci sia qualcosa di strano Rudy lo conferma nella sua testa quando Maps gli dice che per tornare a casa ci sono 300 Km e circa 3 ore di auto, ovvero almeno 50 Km e mezz’ora in più di auto rispetto al solito.
Ma Rudy cosa pensa? Rudy è uno che si fida della tecnologia, ci lavora tutti i giorni, ci ha scritto un libro. Insomma, si fida e pensa “boh, ci sarà della coda e il navigatore me la farà evitare”.
Questo lo pensa anche quando Maps gli dice di prendere una autostrada che porta a Genova, anche quando lo fa uscire in un paesello mai sentito prima dalle parti di Pavia e anche quando lo fa aggirare Piacenza per una statale sconosciuta.
Morale: mentre i ladri agivano, tutti gli smartphone della zona segnalavano che cosa accadeva a livello di traffico e quando ha iniziato a formarsi la coda gli stessi telefoni hanno comunicato “agli altri” la coda, esattamente come farebbe un organismo in fase difensiva. Sinergia, si chiama ‘sta cosa, ovvero due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente.
Quindi lo smartphone di Rudy non chiede a Rudy quale strada scegliere perchè non ne ha bisogno: sa che Rudy deve andare da un punto A a un punto B, ci DEVE andare non dovrebbe, altrimenti non userebbe il navigatore, e sa che ci deve andare nel minor tempo possibile.
Maps pensa per Rudy così come Waze, per esempio. Parlo di Maps solo perchè uso quello ma so che stamane Waze ha fatto la stessa cosa. Tanto sappiamo che la mamma è la medesima.
Fine della storia. 3 ore per tornare da Milano e nemmeno un minuto di coda quando, basandomi solo sui cartelli stradali e la memoria, avrei preso l’A1 a Melegnano e probabilmente sarei ancora la.
A questo punto mi sono fatto la domanda del titolo: quando la tecnologia è innovazione e poi progresso?
C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.
Diceva bene Henry Ford, ma credo che con il “per tutti” non si chiuda il cerchio. In realtà la tecnologia può avere accezione negativa oppure positiva e quindi se diventa per tutti quella con l’accezione negativa non è una bella cosa. E qua viene il punto: quando, anche nella sua accezione positiva, diventa progresso senza essere vincolata a delle nicchie o a dei complessi sistemi di gestione?
C’è vero progresso quando una tecnologia è pervasiva, non invasiva, invisibile e i suoi vantaggi arrivano a tutti.
Scrivo nel mio libro, parlando di Google:
Secondo la teoria di “informatica pervasiva” promossa da Donald Norman, psicologo e ingegnere statunitense, la tecnologia migliore è quella che non si vede, perché è tanto semplice da usare da diventare “trasparente”.
Quando la tecnologia possiede un tasto on/off (non è invasiva), è diffusa e penetrante, produce vantaggi oggettivi per tutti e NON si vede per nulla, allora questa tecnologia è vero progresso.