Lo scorso 9 ottobre a Milano si è svolto un evento che mi ha dato alcuni interessanti, a mio modo di vedere, spunti di riflessione in riferimento al nostro lavoro e al nostro futuro.
Si è trattato dell’ IBM SolutionsConnect 2013 (qui i dettagli), ovvero il giorno dell’anno in cui il colosso tecnologico più longevo del pianeta, divulga le proprie tecnologie e ricerche nell’ottica di poter dare un’aria “umana” al brand e… e per vendere. Questo è ovvio.
Sono stato invitato insieme al mio socio Skande e ad Andrea Albanese, e presente per tutta la giornata: si è parlato di sicurezza informatica, di big data, di cloud e di mobile, il tutto in tono divulgativo e poco commerciale, anche per cercare di dare una risposta a tutti quelli che si chiedono “ma IBM cosa fa?”.
Le cose che mi sono saltate all’occhio sono di origine “sociale-comportamentale” e tecnologica. Le voglio elencare:
- Big Data per prevedere il futuro
Dico subito che i big data, ovvero quelle enormi moli di dati che ogni giorno tutti noi sviluppiamo attraverso le nostre attività quotidiana, sono la più grande rivoluzione degli ultimi 100 anni, dopo Internet.
Ovvio, i big data non sono una rivoluzione in se, ma lo è la tecnologia per vagliarli, analizzarli e le risultanze ottenute, si.
Grazie a moli incommensurabili di dati siamo in grado, di fatto, di predire il futuro. Siamo in grado di andare verso la cura del cancro, siamo in grado di capire che cosa voterà un popolo, se una nazione è felice, che cosa le manca e quanto. Siamo in grado di creare, come detto alla conferenza plenaria di apertura, non delle “smart city” ovvero delle città intelligenti, ma uno “smart planet” cioè un pianeta del tutto interconnesso e che fornisce informazioni su se stesso.
L’iperconnessione e la generazione di dati che ne deriva, se controllati e misurati in maniera rapida ed efficace, sono in grado di cambiare le nostre vite, per sempre e in meglio.
Ovvio…. il problema della sicurezza personale e della privacy non sono dettagli.
- Sicurezza informatica e cyber crimine
Chiariamoci: il cyber criminale non è un hacker e l’hacker non è un ragazzino brufoloso che svuota la carta di credito di papà.
Il cyber crimine è ad oggi la più grande “risorsa” illegale del pianeta: più del traffico d’armi, o di droga. Più di tutto.
Andatelo a spiegare ai nostri politici che manco sanno cosa sia Twitter.
Detto questo, i big data diventano un mezzo straordinario, per arginare il fenomeno: grazie per esempio all’analisi semantica, siamo in grado di capire se l’individuo che sta scrivendo sul proprio profilo Facebook è davvero quello che si pensa che sia. Si, perché se il mio profilo FB viene “bucato”, non ci sono antivirus che tengano: si deve passare ad un livello successivo di sicurezza, basato sull’umanizzazione delle macchine e dei calcoli che ne derivano.
La sicurezza informatica DEVE essere una priorità, delle aziende e soprattutto dei governi. Questo, tradotto, non è il “Patriot act” eh.
- L’azienda è una casa di vetro
Nel libro di Gianni Di Giovanni e Stefano Lucchini “La casa di vetro. Comunicare l’azienda nell’era digitale” ‘azienda viene vista sempre più come un luogo deputato alla trasparenza, un luogo che è del cliente, più che dell’amministratore delegato.
Adesso, non voglio fare il profeta perchè non lo sono, ma sono almeno 3 anni che dico alle mie lezioni che l’azienda si deve comportare come un individuo, e come tale deve essere umanizzata, leale, trasparente e onesta.
L’azienda si deve aprire verso i proprio clienti e potenziali tali, si deve rendere disponibile e deve capire che esistono perone che, verosimilmente, conoscono i prodotti meglio dell’azienda stessa.
Il Cluetrain manifesto insegna: i mercati sono conversazioni, e le aziende che non conversano sono destinate a morire.
IBM mi ha dato modo di pensare che la direzione presa sia quella della casa di vetro. E questo ci porta all’ultimo punto.
- Le aziende sono fatte di persone
Ho parlato con un mucchio di gente: specialisti, softwaristi, analisti, programmatori, esperti di sicurezza, evangelizzatori e chi più ne ha più ne metta. Con tutti ci siamo dati del tu, abbiamo parlato cordialmente senza sovrastrutture a dividerci, e tutti sono stati alla buona e gentili.
Tutti, allo stesso modo, mi hanno detto la stessa cosa
“IBM è un colosso che fatica a cambiare, ad entrare in un mercato “trasparente” perché è troppo grossa. Si parla sempre di innovare e cambiare l’azienda, io sarei propenso a farlo, ma non si riesce, ed IBM rimane sempre quel colosso formale e un po’ misterioso che conosciamo tutti”.
Io mi sono chiesto: se tutti i dipendenti di IBM sono gentili, brillanti e cordiali, se tutti i dipendenti IBM mi dicono che vorrebbero cambiare, se tutti i dipendenti IBM mi dicono che non si riesce a cambiare, qualcosa non mi torna.
Se è vero com’è vero che l’azienda è fatta di persone, e se queste persone vogliono cambiare l’azienda in cui sono, l’azienda cambierà.
E’ solo questione di una identità e di un obiettivo comune: quella cosa che viene volgarmente chiamata “mission” è qualcosa che dobbiamo tenere a mente tutti, in grande ed in piccolo: se siamo parte di qualcosa e decidiamo che questa cosa debba cambiare, questa cosa cambierà.
In tutto questo vi mostro anche un esempio di “live twitting efficace: l’esempio di #IBMITSC“. Un modo per capire che i social non sono necessariamente un veicolo per dire sempre e solo cazzate.
PS: Grazie a Claudione Gagliardini per averci dato una mano “esterna” nella cosa ;)
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