“I luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali.”
Partendo da questa frase che ho letto in questi giorni sul libro Inferno, di Dan Brown, mi voglio spingere in una riflessione riferita ai Digital Champions, un fatto di questi giorni che, come con “Natural born killer” di Oliver Stone, non lascia indifferenti.
Partiamo dall’inizio, semplificando dal sito digitalchampions.it
Cosa sono i Digital Champions?
Il Digital Champion è una carica istituita dall’Unione Europea nel 2012. È un ambasciatore dell’innovazione. Ogni Paese ne ha uno, con il compito di rendere i propri cittadini “digitali”. Per l’Italia è Riccardo Luna, ex direttore di Wired e uomo di spicco nella comunicazione divulgativa italiana.
Cosa fa il Digital Champion?
Il Digital Champion non è retribuito, non ha staff e non ha budget. Ma ciò nonostante in molti Paesi europei i Digital Champions stanno riuscendo a portare a segno risultati molto importanti creando reti di persone attorno a progetti in particolare di alfabetizzazione digitale.
Quali sono gli obiettivi dei Digital Champions?
I Digital Champions italiani avranno tre obiettivi:
1) dovranno essere una sorta di help desk per gli amministratori pubblici sui temi del digitale.
2) dovranno muoversi come difensori del cittadino in caso di assenza di banda larga, wifi ed altri di rititti negati.
3) dovranno promuovere, anche con il ricorso al crowdfunding, progetti di alfabetizzazione digitale, dai bambini ai nonni.
Chi sono i Digital Champions?
L’Italia ha avuto quattro Digital Champions in due anni. A differenza dei predecessori, e in linea con la raccomandazione dell’Unione Europea di declinare la carica andando sul territorio (“going local”), si è deciso di nominarne uno in ogni comune italiano: poco più di 8000. Una rete di attivisti, volontari, appassionati di digitale con il compito di mobilitare il paese porta a porta.
Ok, in giro per i social in questi giorni c’è stato un vociare insistente in riferimento ai primi 100 che sono stati nominati, e la domanda che spesso si sente nei confronti di questa nuova figura è: ma servono davvero?
I Digital Champions servono davvero?
Per me si. La figura è molto molto interessante, serve perchè è una figura di sensibilizzazione e perchè divulgare e spiegare le cose e la tecnologia a tutti è il primo passo che porta alla consapevolezza.
La divulgazione, in un momento tecnocratico come il nostro, è VITA.
Scrivo nel mio libro “Rischi e opportunità del Web 3.0“:
Forse qualcuno si starà chiedendo: ma come posso affrontare questi rischi?
In pratica, non potete. Non potete stare su Facebook senza accettarne la policy, non potete avere una privacy privilegiata, non potete impedire a Google di “leggere” la vostra Gmail. Non potete.
Ma potete cambiare il vostro modo di pensare formando in voi l’auto consapevolezza di quello che avviene attorno a voi.
Se iniziate a pensare che i dati sono vostri e che non è giusto che quando pubblicate qualcosa questo qualcosa diventi di Facebook, state formando una coscienza personale la quale, se divulgata, diviene coscienza collettiva.
Il sapere le cose è l’unica strada per cambiarle.
La vostra consapevolezza aumentata, dopo la lettura di questo libro, vi rende persone più evolute, sicure e certe di quello che è bene e quello che non lo è: vi rende persone più preparate, in quanto più informate, ad affrontare un modo che adesso vi è più chiaro.
La consapevolezza di quello che si usa e di come lo si usa è il primo passo verso un mondo migliore e più a misura d’uomo.
Quindi i DC servono, concettualmente servono eccome.
A questo punto quello che ci rimane da capire è se quelli che sono stati scelti, servono. Si perchè il punto non è se una cosa potrebbe servire o meno, ma se sarà fatta nella maniera giusta per raggiungere l’obiettivo.
La Rete in questi giorni dice che non sono stati scelti dei tecnici, che sono stati scelti solo dei contributori di Wired e CheFuturo (dove Luna ha ovviamente un notevole ascendente) e che “se avessi scelto io avrei scelto altri“.
Eh si, se avessi scelto tu avresti scelto altri come se avessero scelto gli altri 60 milioni di italiani avrebbero scelto altri.
Ecco quello che penso io, invece: per fare VERA innovazione servono tre tipo di persone:
I visionari
I tecnici
I comunicatori
L’innovazione senza uno di questi tre fattori, di queste tre tipologie di persone, non viene fuori. Se i DC fossero solo visionari sarebbe un bel casino, vivremo in un mondo tipo Willy Wonka, se fossero tutti tecnici saremmo circondati da persone con tendenze alienanti che non sarebbero in grado di spiegare quello che fanno e se fossero tutti comunicatori allora avremmo un mondo di pop star che di tecnico hanno poco.
Ma insieme, insieme queste tre tipologie di personalità possono fare cose BELLISSIME, straordinarie, deflagranti. Possono cambiare il mondo.
Ecco, nel progetto DC si è scelto di dare maggior spazio ai comunicatori piuttosto che alle altre due figure, e perchè? Perché la consapevolezza è la chiave per creare un mercato consapevole ed uscire dalla crisi.
I dubbi che nascono sono legati alla tipologia di comunicatori scelti, ovvero tutte persone che scrivono in Wired o CheFuturo ma d’altronde si sa che nella gattopardesca Italia cambia tutto per non cambiare nulla e se io fossi stato in Luna, probabilmente avrei fatto uguale ovvero avrei avvicinato persone che conosco e che so che sanno comunicare.
E’ sbagliato? No, l’avresti fatto anche tu.
Diceva Matteo Flora ieri su questo post in Facebook
Che, poi, è il motivo per cui se mi chiedete chi fare parlare ad un consesso non tecnico di problemi di alfabetizzazione informatica non vi suggerisco me ma Rudy Bandiera o Marco Camisani Calzolari.
E non credete, so BENISSIMO di essere tecnicamente tre spanne sopra ciascuno dei due, ma sono ben conscio di essere tre metri sotto le capacità comunicative di entrambi. Così, per dire. Ora pappa.
Ha torto? No, specie per gli esempi che fa ;) A parte gli scherzi,
se un progetto si pone come obiettivo quello di rendere i propri cittadini “digitali” lo deve fare attraverso la comunicazione e la collaborazione.
Il punto è sempre lo stesso, che qualunque cosa si faccia non va bene, MAI. Credo che alcuni nomi usciti tra i primi 100 siano patetici, certo, e che non abbiano nulla a che fare con la comunicazione e la divulgazione (scrivere non è divulgare) ma allo stesso modo ho avuto anche ottimi feedback, primo tra tutti quello di Miriam Surro (con la quale mi scuso per avere detto che è di Viterbo quando invece è di Avellino), DC di Ferrara che stamattina mi ha contattato in privato dicendomi che il suo spirito è collaborativo e chiedendomi se mi va di collaborare con lei. Un ottimo inizio, in effetti!
Lo so, la cosa curiosa è che è di Avellino, vive a Ferrara da 3 anni ed è DC di Ferrara, ma se vive qua e si sente di Ferrara che male c’è?
Le persone devono smettere di lamentarsi per le cose delle quali non fanno parte ed esaltare quelle di cui fanno parte.
Io ieri mattina su Facebook scrivevo:
Se verrò eletto digital cempion della mia città dirò che è una fikata utilissima, se non sarò io dirò che è una cosa da sfikati che non serve a nulla.
Ecco, questo è lo spirito dell’italiano medio, a mio avviso, ed è lo spirito che spesso porta questo Paese ad essere meschino.