Il mondo è cambiato, i tempi sono cambiati: siamo certi che parlare bene o male di una cosa sia sempre un bene, a prescindere?
Un tempo, lo sappiamo tutti, si diceva “parlarne bene o parlarne male, l’importante è parlarne” ma io credo fermamente che la cosa non sia più così.
Il mondo dei social ha del tutto stravolto le regole con le quali l’universo dei media si rapportava ai consumatori, rendendo i consumatori stessi dei produttori di contenuti, generando di fatto una nuova genia di individui, i “prosumer” ovvero produttori/consumatori di contenuti.
Se i prosumer sono coloro che comprano sono anche coloro che veicolano: e se veicolano un messaggio negativo, è sempre un bene per una azienda?
Io non so come andrà a finire questa storia, probabilmente in nessun modo, ma è possibile che un’azienda come Ristora sia felice di apparire a fianco di un titolo scellerato come quello di Libero di questa mattina?
Per quello che mi riguarda passerà molto tempo prima che acquisti un prodotto Ristora, perché l’abbinamento titolo/marchio mi si è impresso in testa.
E se tanto mi da tanto questo articolo sarà letto verosimilmente da qualche migliaio di persone, e in quanti di questi ne riparleranno? E in quanti abbineranno il nome dell’azienda ad un titolo così destabilizzante, negativo e sessualmente connotato?
Non mi pare sia esattamente una buona operazione di “brand awareness“: il marchio ne soffre, altro che.
Credo sia giunto il momento anche per le aziende di responsabilizzarsi, di capire che abbinare il proprio nome ad un marchio o ad un media che fa “numeri” non basta. Fare numeri non basta.
Noi siamo come siamo percepiti: se come azienda ci affianchiamo a delle scelleratezze verremo percepiti come degli scellerati.
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